“Viaggio dentro”
Martedì 16 aprile, accompagnati dal nostro professore, Roberto Marinaccio, e dal cappellano del carcere, don Piergiorgio Rigolo, abbiamo visitato la Casa Circondariale di Pordenone. L’esperienza di entrare in un carcere è stata intensa per noi studenti della 5^AMP dell’Istituto Kennedy di Pordenone.
È stato un viaggio “dentro”: dentro le nostre emozioni e sensazioni, dentro quelle delle persone che abbiamo incontrato dentro quelle mura.
Prima della visita, abbiamo sperimentato un mix di sensazioni: dalla curiosità al nervosismo, forse pure un po’ di timore per l’ignoto e per quello che avremmo trovato una volta dentro. Entrare in una Casa Circondariale suscita una molteplicità di emozioni contrastanti. Si provano sentimenti di tristezza e compassione osservando le condizioni in cui vivono i detenuti. Nel contempo, si nutre speranza per coloro che si impegnano nel processo di cambiamento umano.
Nel corso della visita, le emozioni sono passate attraverso una varietà di stati d’animo: compassione per le storie di vita dei detenuti, consapevolezza delle loro sofferenze e speranza nel vedere che, nonostante tutto, alcuni di loro cercano di cambiare per mostrare a se stessi e ai loro familiari di essere migliori rispetto a ciò che sono stati sino ad oggi.
Nell’incontro avvenuto con cinque ristretti, alla presenza del Comandante della Polizia penitenziaria e di alcuni agenti, nonché dell’educatrice e del cappellano del carcere, è stato per noi possibile sperimentare sentimenti di empatia e di sorpresa nel confrontarsi con storie di vita complesse e diverse dalle nostre. È normale provare una certa tensione interiore ed ansia quando si ascoltano le storie passate o come scorre la vita all’interno del carcere,tra la noia che ti assale e il tempo che non passa mai e giornate sempre uguali. Tensione ed ansia sono emerse specialmente quando i detenuti hanno raccontato le difficoltà e le situazioni difficili che le loro famiglie sperimentano per causa loro.
È certamente una responsabilità che alcuni ristretti comprendono e pesa loro dentro.
Nei dibattiti intercorsi tra i presenti – e tra i detenuti stessi – su argomenti come lo studio, si è generato un senso di ammirazione per la resilienza e la determinazione di coloro che stanno cercando di fare progressi verso una vita migliore nonostante le avversità. È emersa in maniera palpabile la voglia di crescita personale e di riscatto anche attraverso l’istruzione, la cultura e la dimensione del lavoro.
Tra le tematiche su cui abbiamo avuto l’opportunità di conversare, è emerso a più riprese il problema della violenza sessuale e delle droghe, di come la dipendenza dalle sostanze abbia condotto alla deriva diversi individui – anche giovanissimi – poi finiti in carcere a causa degli effetti deleteri che questa schiavitù ha avuto sulle loro vite e su quelle dei loro cari. I presenti hanno parlato delle ragioni che spingono a far uso di queste sostanze, una tra queste è la carenza di affetto in ambito familiare vissuta in tenera età. Infine hanno condiviso con noi le storie e le sfide incontrate nel cercare da chi vuole liberarsi dalla dipendenza e da tutti quei modi di vivere sbagliati. Le storie di chi, lì dentro, ha iniziato a ricostruire la propria vita.
Usciti dalla Casa Circondariale, le emozioni che abbiamo provato sono state ancora più complesse. Ci sono stati sentimenti di tristezza per le circostanze difficili dei detenuti con cui abbiamo conversato, ma anche di speranza nel vedere che esistono programmi di riabilitazione e che c'è ancora una possibilità di cambiamento con l’aiuto di figure professionali come l’educatrice, il cappellano e degli agenti che lavorano in quel luogo. Inoltre, è emersa in noi una sensazione di gratificazione nel sapere di avere avuto un impatto positivo sulle persone che abbiamo incontrato, anche se solo attraverso il
semplice atto di ascoltare e condividere un momento di umanità con i detenuti.
Una visita in carcere solleva inevitabilmente domande sulle disuguaglianze sociali e sulle cause profonde che portano le persone in prigione; incoraggia una riflessione su come la società possa lavorare per prevenire il crimine, promuovendo una vera giustizia riparativa con la necessità di un sistema penale che miri alla rieducazione e al reinserimento sociale, oltre che alla punizione.
Una visita in carcere porta ad una maggiore consapevolezza delle condizioni talvolta critiche del sistema penitenziario e può suscitare un desiderio di lavorare in quel contesto per contribuire ad un cambiamento in positivo. È un'occasione per confrontarsi con la realtà delle persone che lì dentro ci lavorano o che sono detenute, con le vicende e le sfide che ogni giorno affrontano.
Quanto a consigliare questa esperienza a classi future della nostra scuola, ci sentiamo di dire che dipende da diversi fattori. È importante che gli studenti siano preparati mentalmente e emotivamente per affrontare una realtà così cruda e complessa. Nel nostro caso, la preparazione è stata accompagnata passo dopo passo dal nostro insegnante con un adeguato supporto pedagogico.
La visita è stata poi seguita da un dibattito in classe, a cui ha preso parte anche il preside della nostra scuola, che ci ha consentito di rileggere, elaborare e comprendere le emozioni suscitate dall'esperienza appena conclusa. Se gestita con cura e sensibilità, una visita in carcere può essere un'opportunità preziosa per gli studenti di ampliare i loro orizzonti, visualizzando il mondo che li circonda sia nei suoi risvolti positivi che in quelli più critici. Permette di sviluppare empatia e consapevolezza sociale, favorendo una riflessione più sostanziosa sui processi della giustizia e del reinserimento sociale. Consente altresì di rafforzare nelle giovani generazioni il valore della legalità e la percezione della responsabilità che gli individui hanno verso se stessi e la società civile.
Infine, desideriamo ringraziare il Direttore della Casa Circondariale di Pordenone, il Corpo di Polizia penitenziaria in servizio, il Funzionario giuridico-pedagogico, Don Piergiorgio, le persone detenute che abbiamo incontrato e tutti coloro che hanno reso possibile questa esperienza.
La classe 5^AMP dell’ITST “J.F. Kennedy” di Pordenone